martedì 26 marzo 2013

Come limitare i danni dei cinghiali


Come limitare i danni dei cinghiali negli agriturismi in Toscana

I metodi contenimento dei danni causati dal cinghiale alle coltivazioni agrarie

si possono ricondurre a due tipologie principali:

– Prevenzione dei danni.

– Riduzione della densità di popolazione.

Prevenzione dei danni negli agriturismi in Toscana

Il metodo di prevenzione dei danni si basa sull’applicazione di tre tecniche

principali:

1) Uso di repellenti.

2) Applicazione di recinzioni.

3) Pratica del foraggiamento complementare.


 I repellenti sono rappresentati da sostanze chimiche o da dissuasori acustici che sono in grado di ostacolare gli animali e ridurre l’accesso di questi alle coltivazioni.
Numerose sostanze chimiche agiscono sul sistema olfattivo o gustativo del cinghiale con effetto repellente . Le sostanze repellenti vengono applicati estensivamente alle colture annuali, ma anche individualmente nel caso delle piante da frutto o dei vigneti. È stato dimostrato però, che la maggiore efficacia si registra nei 3-4 giorni successivi all’applicazione (Vassant e Boisaubert, 1984) mentre successivamente l’effetto repulsivo diminuisce sensibilmente, sia per l’insorgere di una certa assuefazione da parte degli animali, sia per il dilavamento del prodotto operato dagli agenti atmosferici.

Dissuasori acustici

La produzione di suoni e di rumori irregolari crea situazioni di insicurezza negli animali che tendono ad allontanarsi dalle aree sensibili.
La prevenzione di tipo acustico può essere realizzata secondo differenti modalità che si avvalgono di detonatori a salve, apparecchi radio a frequenza programmabile o registratori che diffondono il segnale di allarme tipico dei cinghiali quando si trovano in situazioni di pericolo.

Anche in questo caso, l’efficacia del metodo si dimostra molto limitata nel tempo: dopo pochi giorni generalmente si osservano i primi fenomeni di assuefazione ed in breve tempo gli animali finiscono per ignorare del tutto il rumore (Gorreri, 2000).


2) Le recinzioni. Per evitare l’invasione da parte dei cinghiali di aree coltivate non molto ampie, è possibile alzare barriere fisiche di differente tipo.

Recinti permanenti

L’uso di strutture come pali, reti metalliche semi-interrate  e stabilizzate con cordoli di cemento, rappresentano barriere praticamente impenetrabili dai cinghiali e dovrebbero essere quindi considerati la prima scelta per la difesa degli appezzamenti di terreno dai danni da fauna
Tuttavia, numerosi sono i fattori limitanti al loro uso (Picco, 2006):

- Elevati costi di impianto.

- Ostacolo alle lavorazioni agricole meccanizzate.

- Idonei per la protezione di ridotti appezzamenti di particolare pregio (vivai, orti).

- Alto impatto paesaggistico su ampie superfici.

- Alto impatto ecologico rappresentando un limite anche per gli spostamenti degli animali selvatici.

Recinti temporanei

Sono molti le aziende vitivinicole in Toscana che ricorrono alla delimitazione di aree di modeste dimensioni  con una serie di paletti di sostegno ai quali vengono fissati, mediante appositi isolatori, due o tre fili elettrificati attraverso batterie a 12 V, pannelli solari o, dove possibile, dalla normale linea elettrica di 220 V. Il montaggio va eseguito con cura e seguendo le asperità del terreno.

Si tratta quindi di recintare una superficie con una vera e propria rete elettrificata o con dei semplici fili percorsi da corrente. I fili elettrificati sono quelli maggiormente utilizzati (miglior rapporto costi-benefici) anche se non garantiscono una perfetta protezione dai cinghiali. Nel caso vengano utilizzati due fili, questi sono posti ad un’altezza di circa 25 e 50 cm da terra, mentre quando si utilizzano tre fili questi sono fissati ai paletti a 10, 30 e 60 cm.
Nella parte inferiore della recinzione installare i conduttori elettrici ad un intervallo più ravvicinato rispetto alla parte superiore.
I cinghiali hanno l'abitudine di forzare le recinzioni passandovi sotto. Per ciò che concerne le recinzioni elettrificate succede quindi spesso che, al primo contatto, l'animale le superi, distruggendole.

Il sistema di elettrificazione è costituito da apparecchiature che emettono impulsi brevi e ad alto voltaggio e che consentono di conservare l’elettrificazione dei recinti anche in caso di corto-circuiti che si possono verificare per il contatto con la vegetazione.

L’efficienza dei recinti elettrificati, considerata potenzialmente elevata, è legata alla scrupolosa e regolare opera di ispezione e manutenzione

(Massei & Toso, 1993)

Un cavo in basso e un nastro più visibile in alto sono di norma sufficienti per tenere lontani i cinghiali dalle culture.
Le modalità di installazione delle recinzioni sono riconducibili a due:
1) completa recinzione delle singole parcelle coltivate ed appetite dal cinghiale;
2) disposizione lineare di tratti a rischio, per esempio zone di confine tra bosco ed aree coltivate.
3) I Diversivi. In aggiunta ai metodi di prevenzione diretta del danno da cinghiale è possibile utilizzare tecniche preventive di natura indiretta che distraggono gli animali e li invogliano ad utilizzare risorse alimentari
diverse da quelle coltivate.
Il metodo prevede la somministrazione in bosco di cibo complementare (foraggiamento), almeno in parte, alternativo a quello offerto dalle piante coltivate e mostrando agli animali condizioni di elevata produttività dell’ecosistema forestale, sebbene artificialmente potenziate.
La possibilità da parte degli animali di non abbandonare la protezione e il rifugio propri dell’habitat frequentato normalmente. L’offerta alimentare supplementare può essere fatta con modalità e tempi che variano a seconda delle diverse situazioni:
- Potenziamento delle risorse trofiche quando quella naturale del bosco risulta essere scarsa.
- Programmazione degli interventi supplementari tenendo conto delle disponibilità trofiche naturali e dei tempi di maturazione delle colture da proteggere.
- Destinazione di piccoli appezzamenti di terreno agricolo alla coltivazione di “colture a perdere”.
In questo tipo di interventi è di cruciale importanza la corretta identificazione delle aree da coltivare, che devono essere localizzati ai margini del bosco, o addirittura al suo interno, ed in prossimità delle zone di rimessa degli animali, in modo da assicurare le condizioni di tranquillità necessarie a favorire la frequentazione da parte dei cinghiali. Infine, sarà necessario lavorare e fertilizzare adeguatamente tali appezzamenti e, secondo le normali pratiche agricole, attuare una rotazione delle colture, avendo cura di utilizzare le varietà precoci per le parcelle poste in mezzo al bosco, dove la scarsa qualità del suolo e la ridotta insolazione tendono a ritardare lo sviluppo della vegetazione (Calenge et al., 2004).
A cura  della Dott.ssa Amato (Disponibile per consulenze)

sabato 16 marzo 2013

I danni agricoli del cinghiale in Toscana

Sebbene non sia un criterio obiettivo e preciso, poiché ignora quasi del tutto il danno ambientale in senso lato, lo studio analitico delle denunce effettuate dagli agricoltori ai fini del rimborso dei danni da fauna selvatica indicano grosso modo le principali tipologie di danno. Considerando che tutte le Regioni Italiane applicano l’articolo 26 della Legge 11 febbraio 1992 n. 157, è possibile dedurre che, in Italia, oltre l’80% dei rimborsi dei danni da fauna selvatica è attribuito al cinghiale (Toso & Pedrotti, 2001; Toso, 2006) e che le colture maggiormente coinvolte risultano essere quelle di mais (Zea mays). I campi di mais (foto 42) sono utilizzati dai cinghiali sia per il nutrimento che essi traggono dal consumo delle pannocchie, sia per il rifugio che la coltura offre loro quando l’altezza media delle piante raggiunge il metro e mezzo. Nei confronti del mais l’impatto della specie si concentra sostanzialmente in due fasi distinte dello sviluppo della pianta: nel periodo immediatamente successivo alla semina, con asportazione del seme e quindi successiva perdita di una certa quota di raccolto e nella fase della maturazione latteocerosa della pannocchia (foto 42), con abbattimento del fusto e asportazione del prodotto (Macchi et al., 1995).
Foto 43. Asportazione del prodotto in fase di maturazione latteo-cerosa I danni registrati sono provocati su colture specifiche ed il fenomeno è spiegato dalla necessità di scegliere gli alimenti coltivati in funzione delle interazioni con una serie di fattori ambientali che indirizzano le scelte alimentari delle popolazioni di cinghiale. Ad esempio, nelle zone di pianura sembra che i danni ai prati coltivati siano maggiori rispetto alla montagna o alla collina dove i pascoli sono devastati dall’azione di rivoltamento del cotico erboso (rooting) con effetti di erosione anche pericolosi in aree con pendenza pronunciata (Massei & Toso, 1993).
Una presenza eccessiva di cinghiali in determinate aree si rende responsabile di danni sui cereali autunno-vernini lungo tutto l’arco del ciclo colturale: asportazione del seme subito dopo la semina; attività di rooting durante la levata; pascolamento durante la fase di accestimento e calpestio; asportazione di prodotto dalla maturazione lattea al raccolto.  Colture sulle quali i danni sono abbastanza limitati per quanto riguarda l’estensione ma molto elevati se si considera l’aspetto economico sono gli alberi da frutto inclusa la vite (foto 43 e 44). Durante i periodi secchi e siccitosi (fine estate) non è raro osservare cinghiali che soddisfano i fabbisogni di acqua e zuccheri attraverso l’ingestione di grappoli di uva. Foto 44 e 45. Grappoli d’uva strappati da cinghiali durante invasione di vigneto Danni considerevoli sono lamentati in zone di importanza vitivinicole con cultivar pregiate (Toscana, Piemonte) dove il risarcimento elevato contribuisce a far lievitare l’ammontare degli indennizzi. Tra i principali fattori che influenzano i danni alle coltivazioni vengono riconosciuti con certezza: - Alto valore energetico degli alimenti coltivati; - Concentrazione delle risorse agricole in spazi ristretti e facilmente accessibili; - Ampiezza delle aree di transizione tra il bosco e le aree aperte (Lescourret e Gerard, 1985); - Distanza dei campi coltivati dal bosco e dalle aree di rifugio(Wilson C. J., 2004; Calenge C. et al., 2004); - Disponibilità risorse trofiche nel bosco (Vassant e Breton, 1986);
Una delle maggiori difficoltà che si incontrano per la valutazione dell’impatto socio-economico imputabile al cinghiale consiste nell’ottenere informazioni affidabili sulle consistenze delle popolazioni e sull’entità dei prelievi che determinano un aumento dei problemi connessi alla pianificazione delle attività gestionali e rendono difficoltosa l’individuazione di un’incisiva strategia complessiva per la gestione della specie. Il forte impatto negativo che il cinghiale esercita su alcune attività di interesse economico contribuisce, inoltre, ad acuire i contrasti tra categorie sociali (cacciatori, agricoltori ed enti pubblici) con interessi divergenti. L’aumento esponenziale dei conflitti e delle polemiche tra le parti, testimonia l’importanza e l’attualità del problema. Il proliferare delle richieste di risarcimento dei danni, di contenimento delle popolazioni e dei piani di gestione e di controllo, confermano la necessità e l’urgenza di individuare strategie organiche e complessive in grado di appianare conflitti apparentemente insanabili. Le strategie adottate devono contemporaneamente garantire un’adeguata conservazione della specie in natura e una sufficiente disponibilità di soggetti per un razionale utilizzo ai fini venatori. Una scelta strategica in grado di soddisfare i parametri sopra esposti è resa più difficile dall’attuale situazione gestionale e dall’eccessiva frammentazione del territorio in istituti di gestione faunistica con differenti finalità. La limitazione dell’attività venatoria all’interno degli istituti di protezione della fauna (creati con finalità di conservazione per altre specie) e la differente programmazione, spesso adottata dalle Aziende Faunistico-Venatorie impediscono, di fatto, un’adeguata pianificazione della gestione di una popolazione nel suo complesso ed accresce le tensioni sociali nei rapporti tra categorie caratterizzate da interessi contrastanti. L’impatto economico del cinghiale sull’ecosistema agricolo può essere quantificato valutando i valori delle perdite dirette delle produzioni agricole e delle spese sopportate per la prevenzione dei danni. Un ulteriore valore economico può essere stimato ed è quello derivante da un investimento alternativo producibile considerando la somma delle due voci precedenti. Da un’indagine realizzata dall’ex Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (oggi ISPRA) risulterebbe una somma di circa 9 milioni di Euro che la Pubblica Amministrazione dovrebbe caricare a bilancio ogni anno per l’indennizzo dei danni causati dagli ungulati selvatici alle colture agricole. La stessa indagine farebbe emergere che la cifra risarcita risulterebbe pari all’86% del danno accertato il che significherebbe che la cifra complessiva dell’impatto economico negativo sul sistema agricolo attribuito agli ungulati sarebbe superiore ai 10 milioni di Euro. In più, quasi il 90% dei danni è imputabile al cinghiale per un ammontare di più di 9 milioni di Euro (Carnevali L. & Riga F., 2007).
In realtà l’incidenza economica negativa, ascrivibile al cinghiale, risulterebbe molto più elevata di quanto sopra riportato, sia perché in alcune Regioni i dati relativi ai danni da fauna selvatica sono frammentari, non omogenei o peggio ancora scorrettamente raccolti, sia perché molti agricoltori non denunciano i danni poco consistenti e non hanno sufficiente fiducia nelle istituzioni. Quest’ultima considerazione deriva dal fatto che, rispetto al danno ricevuto, il danno stimato e risarcito risulta essere molto inferiore. Una comparazione tra il numero di cinghiali uccisi per 100 ha e i danni risarciti indica che a grosse superfici danneggiate corrispondono bassi numeri di cinghiali abbattuti (Mazzoni della Stella et al., 1995). Carnevali & Riga (2007) hanno calcolato, su di un campione di 12 regioni, il costo medio per cinghiale abbattuto (importi liquidati per danni/cinghiali abbattuti in azioni di caccia) quale indice della sostenibilità economica dell’interazione tra la specie e le attività antropiche. Tale costo medio totale per cinghiale abbattuto è risultato pari a 62 Euro, con profonde differenze tra le diverse regioni: Liguria e Toscana (25 € e 26 €/capo); Valle d’Aosta, Piemonte e Lazio (198 €, 176 € e 120 €).

martedì 12 marzo 2013

Differenze tra azienda agrituristica venatoria ed azienda faunistica venatoria.

Differenze tra azienda agrituristica venatoria ed azienda faunistica venatoria.
Le azienda faunistico venatoria hanno una superficie molto maggiore rispetto ad una azienda agrituristica venatoria, nella prima si parla di no meno di 400 ettari, nella seconda sono sufficienti anche solo 200 ettari.
Il periodo di caccia in base all provincie Toscane può andare dalla seconda settimana di Setttembre al 31 Gennaio per tutte le aziende venatorie della provincia di Pisa, invece per la provincia di Firenze il periodo di caccia finisce il 31 Dicembre per le aziende faunistiche venatorie ed il 31 Gennaio per le aziende agrituristiche venatorie.
Una delle differenze sostanziali tra le aziende agrituristiche venatorie e le aziende faunistiche venatorie è che in quest'ultime ogni cacciatore ha un periodo inferiore per poter cacciare, cioè solo 3 giorni rispetto ai 5 giorni dell'aziende agro turistiche venatorie. Inoltre in quest'ultime non vengono annotati sul tesserino il numero di capi abbattuti.
Per maggiori informazioni vi invitiamo a visionare il sito vendita aziende agricole  da cui abbiamo tratto alcune informazioni.
Sicuramente è importante precisare che non è possibile cacciare all'interno di una azienda venatoria senza il permesso della proprietario della azienda. e questo è uno dei motivi per cui molti proprietari si riuniscono in consorzio per ottenere la licenza di azienda venatoria, al fine di non permettere l'accesso ai cacciatori all'inteno della propria proprietà.
Negli anni Ottanta ci sono stati numerosi scontri tra i proprietari che non volevano i cacciatori all'interno della propria terra e quest'ultimi, oggi con le aziende venatorie, in molti casi, questo obiettivo è stato raggiunto sopratutto per chi è contrario alla caccia e non ama sentire gli spari vicino la propria abitazione.

mercoledì 6 marzo 2013

Problematica per Agriturismi: L'alimentazione degli ungulati

Oggi tratteremo l'alimentazione del cinghiale, grave problematica per gli agriturismi in Toscana. Sebbene la componente vegetale rappresenti oltre l’80% della dieta il cinghiale, modificando la sua dieta in funzione della disponibilità delle risorse trofiche offerte dai diversi ambienti nelle varie stagioni, è considerato, dal punto di vista alimentare, onnivoro (Fournier-Chanbrillon et al., 1995). Tra i vegetali preferiti dal suide è possibile distinguere quattro categorie principali (Massei e Toso, 1993): frutti, prodotti agricoli, parti ipogee delle piante, parti aeree delle piante.
La categoria frutti riveste il ruolo principe nell’alimentazione del cinghiale: in particolare, fondamentali appaiono essere la ghianda, frutto di Quercus ssp. e la faggióla, frutto di Fagus selvatica. Durante gli anni di abbondanza (pasciona) ghiande e faggióla possono rappresentare anche il 50% della dieta annuale, e costituire più dell’80% della dieta nei mesi fra ottobre e febbraio. Negli ambienti mediterranei ed in presenza di Pinus domesticus e di Castanea sativa  anche il pinolo e la castagna assumono rilevanza nella dieta, oltre all’olivo e a svariati tipi di frutti minori. È l’ungulato italiano di maggior impatto negativo sia sugli ambienti naturali sia su quelli agro-silvo-pastorali. L’espansione della specie, spesso aiutata dalle operazioni di reintroduzione e di ripopolamento nonché la sua capacità di sfruttare quasi ogni tipo di coltivazione agricola ha portato a pesanti conflittualità con le attività agronomiche. I prodotti agricoli maggiormente colpiti sono quelli derivanti dalle coltivazioni di patate, di cereali (maggiormente mais), di frutta e di olive.
I danni provocati stimati in Italia nell’ordine di svariati milioni di Euro sono la causa di gravi contrasti fra le attività agronomiche e la presenza del cinghiale e della caccia alla specie (Mazzoni et al., 1995; Macchi et al., 1992). La gestione del cinghiale è argomento complesso per i risvolti sia tecnici sia socio-economici poiché l’interesse del mondo venatorio contrasta con quello degli agricoltori e dei gestori delle aree protette (Monaco et al., 2003). La ricerca di radici, bulbi, tuberi e rizomi è uno degli atteggiamenti caratteristici del cinghiale che utilizza le parti ipogee delle piante nella sua dieta, principalmente durante il periodo primaverile-estivo. In aree paludose, dove il terreno è più morbido ed è più facile l’azione di grufolamento  la ricerca di bulbi e rizomi può proseguire anche per tutta l’estate. La dieta erbivora del cinghiale è completata dall’assunzione di una grande varietà di parte fogliare verde e di germogli (foto 30) ovvero delle parti epigee delle piante, utilizzate principalmente in primavera fino alla stagione estiva. Erbe principalmente presenti sui pascoli ma anche nel sottobosco, inclusi i funghi sono oggetto di attenzioni da parte degli animali.
Oltre ai vegetali, il cinghiale include nella sua dieta alimenti di origine animale e l’incidenza delle proteine animali è stimato intorno al 10% della dieta totale (Herrero et al., 2006).
Vertebrati e invertebrati sono altamente appetiti dal suide nella cui dieta sono stati descritti i consumi di roditori, lumache, lombrichi, insetti, larve, rane, pesci, serpenti, uova, conigli, carogne, ecc. L’utilizzo di alimenti di origine animale è di tipo opportunistico e varia durante l’arco dell’anno. Con l’approssimarsi dei periodi critici dal punto di vista alimentare quando la vegetazione epigea è secca come in tarda estate e soprattutto in quelle calde e siccitose, con il terreno indurito al punto da non permettere il grufolamento, oppure alla fine dell’inverno, quando le ghiande non sono più disponibili ed ancora non è germogliata la nuova vegetazione, in questi casi il cinghiale indirizza la sua attenzione alle colture agricole, facili fonti di cibo, sia quantitativamente, che qualitativamente (alto apporto calorico) e agli animali che incontra.
Il fabbisogno idrico del cinghiale  è di circa 8-10 litri d’acqua al giorno (Massei e Toso, 1993).
Relazione Dott.ssa Amato Angela (Specializzata in Ungulati)