mercoledì 27 febbraio 2013

Riproduzione del Cinghiale in Toscana


Anche se gli accoppiamenti possono avvenire durante tutto il corso dell’anno, i mesi di dicembre e gennaio sembrano essere quelli in cui si verificano il maggior numero di accoppiamenti in Europa e in Italia. In condizioni ottimali le femmine possono raggiungere la maturità sessuale tra i 9-10 mesi d’età mentre in condizioni normali la pubertà si osserva a 15-20 mesi. I maschi, più tardivi, raggiungono la maturità sessuale nel secondo anno di vita, anche se in generale, per ragioni gerarchiche (competizione intraspecifica), non viene loro concesso di accoppiarsi (Massei e Toso, 1993). Le femmine di età superiore ai due anni si accoppierebbero più precocemente rispetto a quelle di età inferiore, anche se piuttosto che l’età appare maggiormente influente il peso delle femmine (accumulo di riserve di grasso). Per essere in grado di riprodursi una femmina deve raggiungere almeno i 20 kg di peso. Alcuni studi hanno dimostrato che durante gli anni di grande produzione di ghiande (pasciona), gli accoppiamenti risultano anticipati e che l’elevata presenza di ghiande nella dieta aumenterebbe l’ovulazione e ridurrebbe la mortalità embrionale (Monaco et al., 2010). Con l’avvio della stagione riproduttiva la femmina presenta un ciclo estrale di 21-23 giorni, normalmente innescato dal fotoperiodo negativo. Normalmente l'estro della femmina dura tre giorni ma il periodo fecondo dura circa 36 ore, in caso di mancato accoppiamento è possibile che tale ciclo si ripeta, evenienza che può ripresentarsi anche dopo un parto in stagioni particolarmente favorevoli e con risorse alimentari abbondanti. Dopo il concepimento la gestazione ha una durata media di 115 giorni (108-129) ed il numero medio di feti varai in funzione dell’età delle femmine (foto 19 e 20): 3-4 per femmine di un anno; 5 per femmine di due anni, 5,5 per femmine di età superiore ai due anni; con valore medio pari a 4,9-5,0.
In generale le femmine si accoppiano e partoriscono una volta all’anno, raramente sono descritti tre parti in due anni. Il maggior numero di nascite si registra nel periodo primaverile (Marzo-Aprile).
La preparazione delle femmine al parto si manifesta con l’isolamento e la costruzione delle “lestre”: ripari nella vegetazione costituiti depressioni del terreno ricoperte da canne e frasche disposte a mo’ di area parto preparata per accogliere i piccoli che alla nascita non presentano differenze sessuali e pesano circa 700 grammi ciascuno. Dopo un primo periodo di allattamento esclusivo dalla madre, con la ricomposizione del gruppo familiare principale, i piccoli vengono allattati (foto 21) fino al terzo-quarto mese di vita da tutte le femmine del gruppo anche se non sono le loro madri (sistema della nutrice di gruppo).
In questo modo, sebbene esistano fenomeni di competizione fra i piccoli per i singoli capezzoli, viene garantito a tutti la possibilità di accedere alle mammelle delle femmine del gruppo anche in caso di morte della madre. 
Relazione Dott. Angela Amato (disponibile per consulenze)

domenica 24 febbraio 2013

Descrizione Cinghiale


Il cinghiale, classificato da Linnaeus nel 1758 come Sus scrofa, è considerato una specie politipica al cui interno sarebbero stati descritti 16 diversi sottotipi (Groves, 1981). In Italia, due sono considerate le sottospecie endemiche: Sus scrofa meridionalis, presente in Sardegna e Sus scrofa maiori, presente in Italia peninsulare; tuttavia la loro presenza, nelle rispettive aree di distribuzione, è tutt’oggi messa in discussione. Non si può dire lo stesso di altre due sottospecie, dettagliatamente descritte, che hanno recentemente colonizzato l’Italia settentrionale: Sus scrofa scrofa presente in Piemonte e proveniente dalla Francia e Sus scrofa raiseri presente in Friuli e proveniente dalla Slovenia. In larga misura, la maggior parte delle attuali popolazioni italiane di cinghiale possono essere considerate il risultato dei numerosi incroci che le sottospecie autoctone hanno subito nel tempo, sia con i conspecifici domestici (maiali), sia con diverse sottospecie alloctone introdotte dall’uomo ai fini dei ripopolamenti effettuati a scopo venatorio. Nel primo caso l’allevamento brado di suini, frequentemente praticato in alcune regioni (Sardegna, Toscana, Umbria, Puglia, Calabria) si è reso responsabile dell’incrocio tra le diverse forme di suidi domestici con quelle selvatiche, il cui prodotto ibrido si è poi disseminato sui territori ed è andato a formare popolazioni stabili con caratteri fenotipici variabili (ancora oggi evidenti).
Nel secondo caso è necessario distinguere le popolazioni derivanti dalle reintroduzioni da quelle prodotte dai ripopolamenti. Per un lungo periodo di tempo (dagli anni ’60 agli anni ’90 del novecento), gli individui utilizzati per le reintroduzioni erano totalmente di provenienza extra-italiana, mentre i ripopolamenti operati in maniera più razionale nel decennio 1990-2000 hanno tenuto maggiormente conto delle esigenze agro-ambientali ed hanno fatto ricorso ad animali di probabile provenienza italiana e di taglia più contenuta. I ripopolamenti e le reintroduzioni sono il frutto di specifiche esigenze venatorie il cui fine ultimo era quello di ottenere animali più pesanti e con trofei molto pronunciati. Queste semplici considerazioni spiegano le difficoltà che si incontrano nell’affrontare il complesso capitolo della sistematica del cinghiale (Massei e Toso, 1993).
Le caratteristiche morfologico-comportamentali tra i soggetti selvatici e quelli derivanti dagli incroci sono riassunti da Mauget (1979) in: aumento della muscolatura del treno posteriore; cambiamento del rapporto tra altezza al garrese e lunghezza totale; accorciamento splancnocranico; ridotta capacità cranica (impoverimento dell’universo sensoriale); diversa colorazione del mantello. Quello che resta della sottospecie Sus scrofa maiori è maggiormente presente nei territori della Maremma tosco-laziale ed è caratterizzato da soggetti dalle dimensioni significativamente minori rispetto alla sottospecie nominale. Tra i cinghiali autoctoni bisognerebbe aggiungere le popolazioni reliquie dell’Appennino meridionale che, tuttavia, non essendo mai state studiate approfonditamente prima del massiccio inquinamento genetico avvenuto in tempi recenti, non possono essere riconosciute come indigene. Al contrario, per i soggetti dell’Italia settentrionale è noto che prima del 1900 vennero completamente sterminati mentre le popolazioni dell’Appennino Centrale subirono una forte contrazione fino al secondo dopoguerra. In considerazione di ciò è possibile ipotizzare che gli attuali cinghiali dell’arco Alpino sarebbero tutti di provenienza Oltralpe (Francia ad Ovest e Slovenia Est) e distribuiti sul nostro territorio per dispersione attiva in tempi recenti. Mentre l’immissione della sottospecie Sus scrofa attila operata capillarmente in tutta Italia ai fini venatori, a partire dagli anni 60 del novecento e ancora oggi è irregolarmente praticata, ha permesso ai soggetti originariamente importati dall’Est Europa, di espandersi in maniera considerevole in tutta la nazione tanto da affermare che a questa sottospecie appartengono la grande maggioranza degli individui presenti in tutte le regioni italiane (Apollonio et al., 1988).
Il cinghiale è una specie particolarmente adattabile e, nel nostro paese, occupa ogni tipo di ambiente disponibile. Nella zona alpina può raggiungere oltre i limiti della vegetazione arborea. Le popolazioni autoctone occupano gli ambienti paludosi e di macchia mediterranea presenti nelle aree protette della maremma tosco-laziale, ambienti analoghi ma più asciutti della Sardegna e i boschi di latifoglie dell’Italia meridionale (Apollonio, 2003). Allo stato attuale non è possibile quantificare in maniera soddisfacente la presenza del cinghiale sul territorio italiano. L’incompletezza del dato è dovuta ad una serie di fattori che caratterizzano la gestione dell’ungulato selvatico tra i quali quelli di maggiore importanza sono rappresentati dai censimenti e dai prelievi venatori.
I censimenti effettuati dagli organi ufficiali di gestione faunistica risultano disomogenei tra regione e regione e tra provincia e provincia, per lo più sommari ed imprecisi, non costanti negli anni e nelle stagioni all’interno dell’anno.
I prelievi venatori effettuati annualmente dalle squadre autorizzate a livello provinciale o sub-provinciale, determinano continue variazioni tra le fasce di età e tra i sessi con una importante influenza sulle strutture di popolazione cui i cacciatori tentano di porre rimedio con ripopolamenti praticati a stagione venatoria chiusa.
Relazione Dott.ssa Angela Amato. (Disponibile per consulenze professionali)

mercoledì 20 febbraio 2013

IL CINGHIALE: INTRODUZIONE

La storia dell’uomo testimonia le ampie modifiche da esso compiute su tutti gli ambienti naturali del Pianeta. Lo sviluppo antropico ha coinvolto, in maniera sempre più incidente, ampie porzioni delle terre emerse. Se le
“Centurie” rappresentano lo strumento antropico che ha iniziato il cambiamento paesaggistico di maggior rilievo in tutto l’impero Romano, in tempi più recenti le responsabilità più significative dell’influenza dell’uomo
sugli ambienti sono attribuite all’età colonialista (iniziata nel XVI secolo con le esplorazioni geografiche europee e le campagne belliche operate da Ovest a Est e da Nord a Sud da Spagna, Portogallo, Francia, Olanda, Inghilterra Russia, Germania e Italia, e formalmente conclusosi nella seconda metà del XX secolo, con la vittoria dei movimenti anti-coloniali) e alle due grandi Rivoluzioni “Agricola” (Prima Rivoluzione Agricola 1650-1756 – Seconda Rivoluzione Agricola 1800-1940) e “Industriale” (Prima Rivoluzione Industriale 1760-1830 – Seconda Rivoluzione Industriale 1870-1940 – Terza Rivoluzione Industriale 1970 ad oggi). L’effetto dell’espansione antropica mondiale si è realizzata nel corso di millenni e si è tradotto in una profonda frammentazione dei territori. Tuttavia, nell’ultimo secolo (con un’accelerazione spinta negli ultimi 20 anni) l’uomo, attraverso la cementificazione ha provocato una pericolosissima iper-frammentazione che ha eroso territori naturali ed agricoli. L’aumento dell’urbanizzazione, delle infrastrutture, delle aree industriali e dei centri commerciali, pensate e costruite solo in funzione delle necessità umane, ha sottratto territorio agli habitat semi naturali o agro-silvo-pastorali, ha continuato ad erodere superfici agli habitat naturali in tutto il Pianeta, aumentando la fragilità degli ecosistemi (che per stabilizzarsi hanno impiegato milioni di anni) e comportando gravi ripercussioni sulle popolazioni selvatiche (vegetali, animali, Funghi, Cromisti, Protozoi, Batteri, Procarioti) e sui substrati ecologici (Acqua e Minerali). I Governi dei Paesi industrializzati tra il 1960 e la fine anni novanta promuovono la cosiddetta rivoluzione verde, investendo in maniera consistente nella ricerca agricola, direttamente sui campi degli agricoltori o cercando altri sistemi per incrementare la produzione alimentare con lo sviluppo di prodotti chimici (pesticidi e fertilizzanti), incoraggiando l’uso di nuove tecnologie e rivoluzionando le tradizionali pratiche agrarie con l'abbandono e l'estinzione di molte varietà vegetali e razze animali locali e tradizionali. Questo percorso è continuato veloce parallelamente al caotico cammino dell’espansione della cementificazione e della lievitazione infrastrutturale e industriale, tanto che può essere simbolicamente tracciato osservando la diminuzione dei Paesi in via di sviluppo e l’incremento dei “Paesi altamente industrializzati” che dai G7 del 1976 (Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito, Stati Uniti d’America, Canada) sono divenuti, nel 1997, G8 (Russia) e G20 nel 1999 (Cina, Brasile, India, Australia, Messico, Corea del Sud, Turchia, Indonesia, Arabia Saudita, Argentina, Sud Africa, con l’aggiunta dell’Unione Europea senza Germania, Francia, Regno Unito e Italia). La situazione attuale è talmente preoccupante che Le Organizzazioni Internazionali per il controllo delle azioni operate su larga scala (ONU, FAO, OMS/WHO, OIE, FMI, UNESCO, UNICEF, ecc.) sono costretti ad indicare strategie di conservazione ambientale da applicare su scala globale e ad obbligare i singoli Stati a prendere provvedimenti, oramai non più procrastinabili, in materia di gestione e prelievo delle risorse naturali (rinnovabili e non rinnovabili). Non è più possibile, infatti, prelevare parti o intere comunità vegetali e animali, ma anche minerali e acque, all’interno di uno specifico habitat, in assenza di un severo controllo da parte di organismi ufficialmente preposti.
In Italia, l’avvento della politica ambientale è riconducibile agli anni 90 del novecento, quando nascono in Italia due leggi specifiche che regolano i rapporti che intercorrono tra le risorse naturali e l’uomo, nonché l’impatto che ogni singola specie esercita sulle attività antropiche e viceversa. Con la promulgazione della Legge 06 dicembre 1991, n. 394 “Legge Quadro sulle aree protette”, il Paese si arricchisce di 16 nuovi Parchi Nazionali, amplia la rete di aree protette regionali, apre la protezione a numerose zone marine e
getta le basi alla istituzione delle Zone di Protezione Speciale (ZPS) e dei Siti di Importanza Comunitaria (SIC). Si creano così i presupposti di base per la realizzazione dell’attuale “Rete Natura 2000” che coinvolge tutti i paesi dell’Unione Europea per l’attuazione della Direttiva 79/409/CEE (direttiva uccelli) e della Direttiva 92/43/CEE (direttiva habitat). La complessità della programmazione proposta ha trovato non poche opposizioni da parte degli abitanti residenti all’interno delle aree interessate (agricoltori/allevatori e
comuni cittadini) e dei cacciatori, che si sono visti sottrarre aree normalmente sfruttate ai fini del prelievo delle risorse naturali senza particolari vincoli e divieti. Ad inasprire ulteriormente gli animi insoddisfatti si aggiunge la Legge 11 febbraio 1992, n. 157 “Norme per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio”. Le leggi quadro tracciano le linee guida per regolare un settore definito e, contemporaneamente, individuare gli interessi irrinunciabili dello Stato a cui si devono attenere gli Enti locali quando, con le Leggi Regionali, dettano i criteri per l’attuazione delle direttive comunitarie.
Inoltre, la Legge 08 giugno 1990, n. 142 “ordinamento delle autonomie locali” attribuisce alle Provincie l’attuazione della disciplina regionale ed esse hanno piena competenza ad esercitare funzioni amministrative proprie ed in particolare in materia di caccia e di protezione della fauna. Le Province identificano sul proprio territorio gli Istituti per la tutela della fauna e dell’ambiente; sono responsabili del controllo del prelievo venatorio; predispongono i programmi di gestione e di prelievo venatorio; i piani di censimento per il controllo delle specie di interesse faunistico-venatorio; i piani di vigilanza delle aree venabili e dei danni provocati dalla fauna selvatica al territorio agro-silvo-pastorale; i piani di miglioramento ambientale; etc.
A distanza di venti anni dalla nascita delle due Leggi fondamentali per la gestione della fauna selvatica e degli habitat, è possibile affermare che la programmazione concertata di azioni finalizzate al miglioramento degli habitat e all’incremento della fauna selvatica, sia stanziale sia migratoria, sono state recepite (digerite) e trova l’unanime adesione delle Associazioni venatorie, agricole e ambientaliste, il cui consenso qualificato è necessario per ottenere risultati reali e utili al territorio. La normativa si preoccupa dell’approfondimento circa le conoscenze scientifiche sulle specie animali omeoterme; sulle loro esigenze di sopravvivenza; sulle limitazioni di prelievo necessarie a garantire una costante presenza delle specie sul territorio nazionale; sui rapporti tra gli animali selvatici e le attività antropiche. Queste ultime coinvolgono differenti categorie della società civile e, principalmente, il settore produttivo primario (agricoltura e zootecnia), il mondo ambientalista ed il mondo venatorio. L’interesse generalizzato per la gestione degli ambienti naturali e semi-naturali da parte di tutte le categorie citate, ma anche da parte dell’opinione pubblica, ha suscitato il giusto interesse politico per la conservazione, il mantenimento o il ripristino della complessità dell’ecosistema, per i quali necessita un adeguato approccio scientifico multidisciplinare. È’ questa una delle ragioni che ha prodotto il lavoro di analisi che coinvolge una parte importante della fauna selvatica italiana come gli ungulati ed in particolar modo il cinghiale (Esposito, 2012).
Relazione della Dott.ssa Angela Amato (Disponibile a consulenze ed incarichi)

lunedì 11 febbraio 2013

Miglior asciugatrice economica


Asciugabiancheria economica ed efficiente
Oggi presentiamo un asciugatrice fatta in casa, super efficiente ed economica.
Pro: Massaggia i vestiti e pertanto la maggior parte di essi non ha bisogno di essere stirata, li lascia morbidi, non rovina i tessuti con la centrifuga o caldo eccessivo, risparmio di soldi nell'acquisto ed in bolletta.
Contro: Sono necessarie 4 ore invece delle classiche 2 ore.
Come sarà mai questa asciugabiancheria?
Questa idea mi è venuta un giorno d'inverno presso un agriturismo in Toscana, dove mentre sorseggiavo dell' ottimo vino biologico, e mentre osservavo i vigneti mi è caduto l' occhio su degli indumenti appesi ad un filo che venivano lievemente mossi da una piccola brezza di vento gelido.
Mi sono avvicinato agli indumenti ed ho notato che erano asciutti.
Allora mi è venuto in mente perché non farlo a casa con un ventilatore.
E' così è nata l'asciugabiancheria più economica ed efficiente al mondo, basta un ventilatore con un ampio diametro e con temporizzatore almeno 2 o 4 ore ed un stendibiancheria estensibile da porre in alto in bagno o anche uno stendino da poggiare a terra.
Abbiamo provato per 2 mesi questa soluzione a casa di un amico con tre figli che vive in condominio e non ha balconi, il risultato è stato stupefacente, in molti casi sono stati sufficienti anche solo 3 ore.
In casa è molto più facile asciuguare la biancheria rispetto all'esterno, perché comunque in inverno ci sono i caloriferi accessi.
Basta allora puntare il ventilatore parallelamente ai fili dello stendi biancheria ed in soli 4 ore la biancheria è asciutta.
Per chi volesse fare prima può prendere uno scaldino con ventola e temporizzatore e l'asciugatura viene anticipata di almeno due ore.
Ovviamente il movimento del vento creerà condensa nel bagno allora è sufficiente aprire uno spiraglio della finestra 10 minuti prima dello spegnimento del ventilatore e tutto il vapore acqueo uscirà velocemente.
Per chi non ha la possibilità di finestra basta un piccolo deumidificatore da usare per un'ora con consumi di 380 watt l'ora ed il problema non si pone più.
Per ricapitolare i costi:
Costo ventilatore con temporizzatore euro 30 con consumo 160 watt l'ora
Costo deumidificatore con temporizzatore euro 160 consumo 380 watt l'ora.
Consumi asciugatura con soltanto il ventilatore 160x4= 640 watt pari a 16 centesimi ad ascigatura contro il classico 1 euro della maggior parte delle asciugatrici.
Consumi asciugatura con il ventilatore ed il deumidificatore 160x4+380= 1020 watt pari a 30 centesimi ad asciugatura contro il classico 1 euro della maggior parte delle asciugatrici.
A fronte di un notevole risparmi di esercizio, non bisogna trascurare il risparmio nell'acquisto dell'asciugabiancheria.
Di seguito qualche esempio fotografico.







Ricordiamo inoltre che l'utilizzo del ventilatore in luoghi dove ristagna umidità, permette di asciugare in pochi minuti l'ambiente al posto di un deumidificatore.
A parte l'indubbio risparmio nell'acquisto dell'asciugatrice e del risparmio giornaliero di energia elettrica, non dimentichiamo il notevole risparmio di Co2 per l'ambiente.
Con questa banale soluzione possiamo voler bene al nostro portafoglio e all'ambiente.
A presto con nuove soluzioni economiche, nel rispetto dell'ambiente.

VIDEO



martedì 5 febbraio 2013

Specifiche per aprire un agriturismo


Rispondiamo con questo post ad una domanda fatta da un caro lettore.
Per avviare l'attività di agriturismo occorre essere un'azienda agricola, e quindi aver esplicato tutti adempimenti burocratici necessari.
Pertanto non è sufficiente possedere un bel podere tipico toscano (ricollegandomi alla domanda del lettore), ma occorre che l'azienda agricola sia funzionante e/o contestualmente rispettando la principalità dell'attività agricola, un'attività di coltivazione, allevamento o silvicoltura, è possibile inserire nella DUA la relazione agrituristica che attesti tutti i requisiti dell'agriturismo.

L'esercizio dell'azienda agricola è possibile non necessariamente con un titolo di proprietà, ma anche mediante usufrutto o contratto d'affitto affitto per almeno 5 anni.
Ricordiamo che la legge 203 ha determinato in 15 anni la durata minima dei contratti di affitto di fondo rustico indipendentemente dalla qualifica dell’imprenditore agricolo, pertanto una durata inferiore presuppone un contratto di affitto in deroga che deve essere sottoscritto dinanzi a due rappresentanti di categoria degli agricoltori.
Inoltre è opportuno ribadire che i fabbricati che possono essere utilizzati per l'agriturismo sono quelli che non servono più all'attività agricola (e questo va ben specificato nella relazione agrituristica) ma è pur vero che in assenza, è possibile utilizzare il fabbricato dell'abitazione principale dell' imprenditore Agricolo, anche se si trova fuori dal fondo rustico.
Questa ultima possibilità, che abbiamo trovato di rado su altri portali, permette notevolmente di allargare le possibilità di aprire un agriturismo, in quanto il legislatore ha interesse che ci sia una rivalorizzazione delle tradizioni culturali del mondo rurale, e sicuramente gli agriturismi sono il veicolo migliore per il ripristino, la conservazione e la salvaguardia di varietà animali, vegetali  locali, e per rivitalizzazione delle colture tipiche attraverso il recupero delle tradizioni e della cultura rurale locale.

Cogliamo l'occasione per rispondere anche due mails ricevute, sulla obbligatorietà di essere IAP per poter aprire un agriturismo, rispondiamo che essere IAP non è necessario per aprire un agriturismo, essere IAP è obbligatorio per chi volesse beneficiare dell'acquisto di una proprietà agricola con i vantaggi della Piccola Proprietà Contadina non essendo coltivatore diretto iscritto almeno da due anni alla Gestione INPS.

sabato 2 febbraio 2013

COME SI ACCEDE AI CONTRIBUTI PSR ?

COME SI ACCEDE AI CONTRIBUTI PSR IN TOSCANA ?
1) Registrarsi tramite ARTEA ( Agenzia Regionale Toscana per l’erogazione in Agricoltura) o i CAA ( entri assistenza in agricoltura) all’anagrafe regionale delle aziende agricole
2) La Domanda di aiuto deve essere presentata nell’ ambito della Domanda Unica Aziendale (DUA) tramite ARTEA.
Ogni azienda agricola e pertanto ogni agriturismo in Toscana che intende beneficiare dei contributi PSR (Piano di Sviluppo Rurale) dopo la presentazione della Domanda concorrerà con le altre aziende agricole della provincia in base ai punteggi assegnati dal bando.