martedì 1 gennaio 2013

Produzione di vino in Toscana -Medioevo-1parte

PRODUZIONE VINO


La ripresa delle attività mercantili e artigianali e il connesso incremento delle popolazioni urbane diedero luogo nell’Italia dei secoli dopo il Mille ad un forte sviluppo della pratica viticola.
Protagonisti della nuova espansione furono i ceti cittadini di formazione più recente, provvisti più degli
altri di capitali da investire nella terra e ben decisi nel perseguire la più ampia disponibilità di vino come «uno dei segni più tangibili della propria ascesa sociale.
Per Firenze, nella prima metà del Trecento, l’ipotesi di un consumo annuo per abitante di circa 260 / 270 litri, per Siena, Bologna, l’area veneta e lombarda si è potuto motivatamente proporre, con riferimento al medioevo tardo, un consumo medio pro capite superiore ad un litro al giorno.
A comprendere le ragioni del fenomeno gioverà aver presente che il vino – generalmente di bassa gradazione alcolica – era la sola bevanda corroborante di cui all’epoca si disponesse e a cui potesse farsi ricorso nei momenti della socializzazione e dell’aggregazione ludica.
Con l’affermazione della mezzadria poderale venne introdotto in buona parte del territorio del centro Italia quel sistema della coltivazione promiscua che negli ampi spazi tra un filare e l’altro consentiva la semina di cereali e leguminose ed affidava, perlopiù, ad alberi la funzione di supporto delle viti.
Non tutta la produzione della vigna era destinata alla vinificazione; sia pure in quantità modesta, l’uva era consumata anche fresca o passa; una piccola parte era poi raccolta ai fini della confezione dell’agresto: un condimento che si otteneva aggiungendo sale al succo dell’uva acerba.
A fronte dell’impiego nella vinificazione tutto ciò risultava, comunque, di ben scarso significato. La vendemmia richiedeva, come noto, lavori preparatori che riguardavano essenzialmente la manutenzione dei vasi vinari: si bagnavano, ripulivano e riparavano i tini da pigiatura (tinae) e gli altri recipienti utilizzati per la fermentazione del mosto e la conservazione dei vini  si procedeva a sostituire doghe vecchie e cerchi che non assicuravano una perfetta tenuta, si eliminavano eventuali muffe disinfettando con acqua salata, gesso e altri materiali, si rinforzavano infine i cavalletti sui quali poggiavano le botti ad evitare il contatto con il suolo umido.
Per la fabbricazione dei recipienti si impiegava legname ben stagionato e della miglior qualità, perlopiù di castagno e di rovere, talora anche di abete e di noce. Compatto, leggero ed elastico, il legno di rovere e di castagno era particolarmente indicato per le botti di maggiore capacità; all’abete, al larice e al noce, più pesante, si ricorreva soprattutto per i recipienti più piccoli, spesso utilizzati per la conservazione dei vini forti e di maggior pregio. I cerchi (circuli) erano ricavati da virgulti di castagno e di salice debitamente tenuti in ammollo;
si poteva ricorrere, comunque, anche al legno di betulla, nocciolo, noce e abete; in qualche contesto la fabbricazione era affidata ad artigiani specializzati, i cerquarii. La legatura dei cerchi si effettuava perlopiù con i vimini. Trova riscontro anche l’uso di cerchi di ferro più sicuri, ma più costosi. Ad evitare perdite e infiltrazioni, sostanze e materiali diversi erano applicati nei punti di connessione fra le tavole: dalla colla di farina di grano, alla pece, al sego.  I fondi di tini e botti potevano essere rinforzati da un asse disposto trasversalmente; nella parte centrale dei recipienti un’apertura circolare (cocchiume), incorniciata talora da un portello di forma quadrata, consentiva l’immissione del vino. La fabbricazione e la riparazione dei recipienti erano affidate a manodopera specializzata (i ‘maestri bottai’), talora anche a carpentieri; 

La raccolta dell’uva poteva avviarsi generalmente solo dopo la data fissata dallo statuto della comunità o, comunque, dopo il bando emesso dalle autorità locali: ciò garantiva un più agevole controllo pubblico sulle operazioni e, dunque, un più regolare andamento delle stesse, scoraggiava i furti, impediva raccolte intempestive (che potevano essere determinate dalla mancanza di vino come dalla paura della grandine o di altri danneggiamenti) e disciplinava la vendita di vino novello.

3 commenti:

  1. Bell'articolo sulla produzione di vino in Toscana. Il mi nonno era maestro bottaio

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  2. Avevo letto prima la seconda parte, che ho già commentato positivamente. Secondo me dovrebbero essere invertite le posizioni per leggerlo in modo più scorrevole anche se è vero che c'era scritto seconda parte. Si vede che sono molto stanca mi sa che ho bisogno di rilassarmi nel vostro agriturismo di Pisa.
    Comunque complimenti di nuovo.

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  3. Certo che un consumo medio pro capite superiore ad un litro al giorno nell'anno mille era una buona media.
    Non mi sarei mai aspettata un consumo del genere.

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